Una delle problematiche ortopedichedel piede più frequenti riscontrata in ambulatorio è rappresentata dal piedepiatto del bambino. Il termine medico per denominare questa patologia è «sindrome pronatoria» o «pes planovalgus».
Nella maggior parte dei casi sitratta di una condizione fisiologica della normale crescita del bambino: tuttinascono con i piedi piatti!
Infatti, quando il bambino impara acamminare, il piede piatto rappresenta un vantaggio funzionale in quantorappresenta una base di appoggio più ampia. A partire dai 7-8 anni di età, ilpiede progressivamente assume l’aspetto di un piede stabile e funzionale perl’età adulta: si svilupperà infatti l’arcata plantare longitudinale del piedeche vediamo quando siamo adulti.
Si tratta di un processo naturale,sul quale è bene non interferire, se non proprio necessario, che termina, ingenere, verso i 14 anni. Tuttavia, in alcuni casi, il nostro bambino continueràad avere la pianta del piede appiattita, il calcagno che «sbanda» all’esterno(calcagno valgo), le ginocchia che si toccano, oltre a camminare con i piedi apapera.
Valutazione ortopedica
L’età corretta per una prima valutazione ortopedica del piede è tra i 6 e gli 8 anni, a meno che il pediatra non solleciti una verifica precoce.
Difronte alla presenza di un piede piatto infantile, semplici domande possono aiutarci nel capire la problematica: «il bambino si stanca facilmente? Riesce nello sport? Ha male al piede? Le scarpe si consumano molto».
Si devono valutare molti aspetti: la familiarità e le problematiche nei genitori, l’iperlassità articolare, le possibili concause dovute ad altri fattori genetici e, infine, la morfologia del nostro apparato locomotore nel suo insieme.
Una visita accurata ed una valutazione funzionale appropriata, associata all’esame dell’appoggio sul baropodoscopio (pedanatrans-illuminata per vedere l’appoggio), permettono di distinguere il piede patologico da quello normale: al podoscopio, si nota una scomparsa dell’arco plantare e, in genere, un valgismo del calcagno.
Bisogna distinguere due tipi di piede piatto evolutivo del bambino:
piede piatto flessibile, che è la forma più comune (90% dei casi): la pianta appare variabilmente appiattita, associata ad un marcato valgismo del calcagno. Nei casi più gravi compare una caratteristica convessità del bordo mediale del piede, per la presenza di un eventuale «osso in più» (scafoide accessorio). In questo caso l’aspetto è detto di doppia caviglia. Sempre durante la valutazione, si esamina l’elasticità del piede mediante test che verifichino il riallineamento del calcagno e la normalizzazione della volta plantare.
piede piatto rigido ,che non si lascia correggere manualmente durante la visita, anzi è contratto e bloccato verso l’esterno. In questo caso dovremo sospettare un parziale blocco fra alcune ossa del piede (sinostosi o sincondrosi) che vincola il movimento. Questa condizione deve essere identificata e trattata, per garantire il successo del trattamento.
Una volta concluso l’esame obiettivo del piede, si valuta anche la funzionalità del tendine d’Achille: una brevità di questo tendine infatti deve essere individuato poiché potrebbe necessitare di un trattamento chirurgico(allungamento) simultaneamente alla correzione del piattismo.
Per confermare la diagnosi clinica, e valutare eventuali problematiche ossee, èutile eseguire radiografie dei piedi in due proiezioni sotto caricobipodalico (ovvero stando eretti su entrambi i piedi)
Trattamento
Una volta che siamo giunti alla diagnosi di piede piatto meritevole di trattamento, l’opzione terapeutica dipende dall’età, dalla gravità e dalla sintomatologia, nonché dalle patologie correlate.
Di norma
un bambinodi 2-6 anni di deve essere lasciato libero, con il piede in grado di assorbiregli stimoli esterni: lasciamo camminare il bambino a piedi nudi, correre esaltare;
un bambino di 6-9 anni può non essere trattato oppure, in caso di piede piatto sintomaticoo significativo, necessita l’utilizzo di plantari. Modellati su misura, iplantari riducono la sintomatologia dolorosa del piede piatto e favoriscono ilnaturale sviluppo della volta plantare evitando il peggioramento del piattismo;infatti è dimostrato scientificamente che i plantari non sono presidi in gradodi correggere il piattismo plantare;
un bambinodi 9-14 anni che presenta un piede piatto, che corre male ed i cui piedi dannofastidio o si affaticano durante lo sport, è un bambino meritevole di trattamentochirurgico: se laradiografia conferma l’appiattimento della volta plantare si pone indicazionead intervento correttivo.L’interventocorrettivo, infatti, ottiene migliori risultati quando il piede è ancora inevoluzione permettendo a ossa, tendini e legamenti di adattarsiprogressivamente all’allineamento imposto dall’endortesi. È un intervento decisamente poco invasivo, specie separagonato ad eventuali correzioni in età più avanzata.
trattamento chirurgico: se la radiografia conferma l’appiattimento della volta plantare si pone indicazione ad intervento correttivo. L’intervento correttivo, infatti, ottiene migliori risultati quando il piede è ancora in evoluzione permettendo a ossa, tendini e legamenti di adattarsi progressivamente all’allineamento imposto dall’endortesi. È un intervento decisamente poco invasivo, specie se paragonato ad eventuali correzioni in età più avanzata.
Intervento chirurgico
Una tecnica ampiamente utilizzata con ottimi risultati clinici e funzionali è l’artrorisi endosenotarsica. L’intervento ha lo scopo di limitare l’eccessiva pronazione (appiattimento) del piede e di mantenere il calcagno in posizione allineata
L’impianto che viene utilizzato è denominato endortesi (molto simile ad una piccola vite tronco-conica del diametro di 8-12mm): in commercio esistono dispositivi in materiali riassorbibili, plastici(polietilene), metallici o biologicamente innovativi (PEEK).
L’intervento correttivo consiste nell’inserimento dell’endortesi all’interno del seno del tarso, una cavità anatomica interposta tra l’astragalo ed il calcagno: mediante stimoli propriocettivi, la crescita residua del piede verrà stimolata, ottenendo progressivamente una correzione efficace.
Il bambino, accompagnato dai genitori (dei quali è richiesto il consenso congiunto all’intervento), viene convocato per il pre-ricovero.
L’intervento chirurgico viene eseguito in regime di Day Surgery, in anestesia generale eseguita da anestesisti specializzati in pediatria. Con una piccola incisione e una divaricazione atraumatica dei tessuti, si inserisce la piccola protesi nel seno del tarso la quale, come uno spaziatore interno, guiderà progressivamente il piede verso una posizione corretta.
Nel piede piatto rigido la procedura chirurgica è simile a quelle sopradescritta, solo che l’inserimento della protesi va preceduto da demolizione della sinostosi. Nel caso in cui si riscontri la brevità del tendine di Achille (meno di 10% dei casi), in genere si associa l’allungamento tendineo mediante tecnica di gastrocnemius recession. In altri rari casi, si esegue l’asportazione dello scafoide accessorio, solo se davvero esuberante.
Dopo l’intervento si confezionano stivaletti gessati in vetroresina da carico, che consentono la deambulazione con l’aiuto di due stampelle: il posizionamento dei gessetti è fondamentale per iniziare lo stretching dei legamenti e dei muscoli già nell’immediato postoperatorio.
Nel tardo pomeriggio, quando le condizioni cliniche generali sono stabili ed il bambino non riferisce dolore, sarà consentita la dimissione ed il ritorno a casa. Il giorno successivo all’intervento, il bambino può tranquillamente camminare sui gessetti: per tanto potrà tranquillamente andare a scuola senza perdere troppi giorni per assenza.
Non serve la rimozione dei punti di sutura, in quanto riassorbibili. A 20 giorni si tolgono gli stivaletti gessati e si riprendono progressivamente le attività quotidiane. In caso di allungamento del tendine achilleo, la rimozione degli stivaletti gessati sarà posticipata di dieci giorni circa.
E’ in questa fase che si possono fare delle sedute di fisioterapia sia attiva che passiva agli arti inferiori e particolarmente all' articolazione tibio-tarsica e al piede, si può reimpostare un corretto cammino, si esegue della ginnastica propriocettiva, stretching e all’ occorrenza terapie fisiche (tecar, laser alta potenza, cryoterapia…)
Già dopo un mese dall’intervento possono essere praticati nuoto e bicicletta. La corsa è consentita dopo due mesi, mentre la ripresa di sport come calcio, basket o pallavolo è consentita atre mesi dall’intervento.
Le endortesi plastiche devono restare in sede almeno per 2-3 anni e, a completa crescita del piede, potranno essere agevolmente rimosse con un velocissimo intervento. Le endortesi metalliche od in PEEK non necessitano invece della rimozione, alla luce della loro biocompatibilità, delle proprietà biomeccaniche e la bassa incidenza di complicanze correlate. Nei rari casi in cui il piccolo paziente avverta fastidio durante le attività quotidiane e ricreative, è possibile rimuoverle almeno ad un anno dall’impianto, senza compromettere la correzione ottenuta.
Le poche complicanze descritte in letteratura sono rappresentate da problematiche della ferita chirurgica, dalla mobilizzazione o espulsione dell’endortesi, dall’intolleranza/allergia all’impianto e da contratture muscolari per la variazione dell’appoggio.
Presso Fysiolab Srl troverai il Dott. Monestier Luca, Ortopedico specializzato nella cura del piede sia nell’ adulto che nel bambino
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Come sempre, un caro saluto a tutti quelli che sono arrivati alla fine dell’articolo.
MonestierLuca –Ortopedico presso Fysiolab Srl-